Propongo del Materiale Didattico, che ho creato ed usato per anni per valutare le capacità logico deduttive dei miei allievi di Quarta Liceo, prima di iniziare il programma di Chimica.
Naturalmente il Materiale può essere usato liberamente dai Docenti che sono interessati, chiedo solo di far menzione del mio nome e di postare un Link al mio Blog.
Buon lavoro!
La prima
competenza da acquisire per poter iniziare correttamente lo studio di una
materia scientifica è un atteggiamento mentale rivolto all’indagine, alla
ricerca di possibili spiegazioni di un fatto. A questo scopo vi si propone la
lettura e la successiva rielaborazione di un brano, tratto dal libro di Umberto
Eco “Il Nome Della Rosa”. Ecco alcune informazioni utili alla comprensione
del brano:
1 – Il periodo
La vicenda è
ambientata nel Medioevo, in particolare nel novembre dell’anno 1327.
2 – Il luogo
Un’Abbazia posta sui
monti tra Piemonte e Liguria
3 – I personaggi
Frate Guglielmo da
Baskerville, incaricato di una missione diplomatica, ex-inquisitore, si trova a
dover indagare su una serie di misteriose
morti avvenute nell’Abbazia. Adso da Melk, novizio
benedettino, accompagnatore di
Frate Guglielmo e suo ammirato discepolo, è il narratore di tutta la vicenda.
4 – Il momento in cui si
colloca il brano
Guglielmo e Adso, dopo
un lungo viaggio, sono giunti in vista dell’Abbazia e ne stanno osservando l’imponente e geometrica
struttura e i dintorni ricoperti da uno strato sottile di neve fresca.
PARTE PRIMA
Abitudine al gusto dell’osservazione
;Mentre i nostri muletti arrancavano per l’ultimo tornante
della montagna, là dove il cammino principale si diramava a trivio, generando
due sentieri laterali, il mio maestro si arrestò per qualche tempo, guardandosi
intorno ai lati della strada, e sulla strada, e sopra la strada, dove una serie
di pini sempreverdi formava per un breve tratto un tetto naturale, canuto di
neve.
“Abbazia ricca,” disse. “All’Abate piace apparire bene
nelle pubbliche occasioni.”
Abituato come ero a sentirlo fare le più singolari
affermazioni, non lo interrogai. Anche perché, dopo un altro tratto di strada,
udimmo dei rumori, e a una svolta apparve un agitato manipolo di monaci e di
famigli. Uno di essi, come ci vide, ci venne incontro con molta urbanità:
“Benvenuto signore,” disse, “e non vi stupite se immagino chi siete, perché
siamo stati avvertiti della vostra visita. Io sono Remigio da Varagine, il
cellario del monastero. E se voi siete, come credo, frate Guglielmo da
Bascavilla, l’Abate dovrà esserne avvisato. Tu,” ordinò rivolto a uno del
seguito, “risali ad avvertire che il nostro visitatore sta per entrare nella
cinta!”
Il piacere dell’intuizione
“Vi ringrazio, signor cellario,” rispose cordialmente il
mio maestro, “e tanto più apprezzo la vostra cortesia in quanto per salutarmi
avete interrotto l’inseguimento. Ma non temete, il cavallo è passato di qua e
si è diretto per il sentiero di destra. Non potrà andar molto lontano perché,
arrivato al deposito dello strame, dovrà fermarsi. È troppo intelligente per
buttarsi lungo il terreno scosceso…”
“Quando lo avete visto?” domandò il cellario.
“Non l’abbiamo visto affatto, non è vero Adso?” disse
Guglielmo volgendosi verso di me con aria divertita. “Ma se cercate Brunello,
l’animale non può che essere là dove io ho detto.”
L’interpretazione come conseguenza della minuziosa
osservazione
Il cellario ebbe un momento di esitazione, poi fece un
segno ai suoi e si gettò giù per il sentiero di destra, mentre i nostri muli
riprendevano a salire. Mentre stavo per interrogare Guglielmo, perché ero morso
dalla curiosità, egli mi fece cenno di attendere: e infatti pochi minuti dopo
udimmo grida di giubilo, e alla svolta del sentiero riapparvero monaci e famigli
riportando il cavallo per il morso. Ci passarono di fianco continuando a
guardarci alquanto sbalorditi e ci precedettero verso l’abbazia. Credo anche
che Guglielmo rallentasse il passo alla sua cavalcatura per permettere loro di
raccontare quanto era accaduto. Infatti avevo avuto modo di accorgermi che il
mio maestro, in tutto e per tutto uomo di altissima virtù, indulgeva al vizio
della vanità quando si trattava di dar prova del suo acume e, avendone già
apprezzato le doti di sottile diplomatico, capii che voleva arrivare alla meta
preceduto da una solida fama di uomo sapiente.
“E ora ditemi,” alla fine non seppi trattenermi, “come
avete fatto a sapere?”
PARTE SECONDA
Questionario
Spiegate le seguenti affermazioni di Guglielmo da Baskerville:
1. Le persone stavano
inseguendo un cavallo
2. Il cavallo si è diretto
per il sentiero di destra
3. Era il cavallo preferito
dell’Abate
4. Era nero di pelo
5. Era alto 5 piedi
6. Aveva una coda sontuosa
7. I suoi zoccoli erano piccoli
e rotondi
8. Aveva un galoppo
regolare
9. Possedeva capo minuto,
orecchie sottili e occhi grandi
10. Il suo nome era Brunello
11. Indagate per scoprire i
collegamenti contenuti nei nomi dei due protagonisti:
Guglielmo da Baskerville
e Adso da Melk
PARTE TERZA
L’abilità nel ragionamento
“Mio buon Adso,” disse il maestro. È tutto
il viaggio che ti insegno a riconoscere le tracce con cui il mondo ci parla
come un grande libro. Alano delle Isole diceva che
omnis mundi creatura
quasi
liber et pictura
nobis est
in speculum
e pensava alla inesausta riserva di simboli con cui Dio,
attraverso le sue creature, ci parla della vita eterna. Ma l’universo è ancor
più loquace di come pensava Alano e non solo parla delle cose ultime (nel qual
caso lo fa sempre in modo oscuro) ma anche di quelle prossime, e in questo è
chiarissimo. Quasi mi vergogno a ripeterti quel che dovresti sapere. Al trivio,
sulla neve ancora fresca, si disegnavano con molta chiarezza le impronte degli
zoccoli di un cavallo, che puntavano verso il sentiero alla nostra sinistra. A
bella e uguale distanza l’uno dall’altro, quei segni dicevano che lo zoccolo
era piccolo e rotondo, e il galoppo di grande regolarità — così che ne
dedussi la natura del cavallo, e il fatto che esso non correva disordinatamente
come fa un animale imbizzarrito. Là dove i pini formavano come una tettoia
naturale, alcuni rami erano stati spezzati di fresco giusto all’altezza di
cinque piedi. Uno dei cespugli di more, là dove l’animale deve aver girato per
infilare il sentiero alla sua destra, mentre fieramente scuoteva la sua bella
coda, tratteneva ancora tra gli spini dei lunghi crini nerissimi… Non mi dirai
infine che non sai che quel sentiero conduce al deposito dello strame, perché
salendo per il tornante inferiore abbiamo visto la bava dei detriti scendere a
strapiombo ai piedi del torrione meridionale, bruttando la neve; e così come il
trivio era disposto, il sentiero non poteva che condurre in quella direzione.”
“ Sì,” dissi, “ma il capo piccolo, le orecchie aguzze, gli
occhi grandi…”
“Non so se li abbia, ma certo i monaci lo credono
fermamente. Diceva Isidoro di Siviglia che la bellezza di un cavallo esige «ut sit exiguum caput et siccum prope pelle
ossibus adhaerente, aures breves et argutae, oculi magni, nares patulae, erecta
cervix, coma densa et cauda, ungularum soliditate fixa rotunditas». Se il
cavallo di cui ho inferito il passaggio non fosse stato davvero il migliore
della scuderia, non spiegheresti perché a inseguirlo non sono stati solo gli
stallieri, ma si è incomodato addirittura il cellario. E un monaco che
considera un cavallo eccellente, al di là delle forme naturali, non può non
vederlo così come le auctoritates
glielo hanno descritto, specie se,» e qui sorrise con malizia al mio indirizzo,
«è un dotto benedettino…»”.
"Va bene,” dissi, “ma perché Brunello?”
"Che lo Spirito Santo ti dia più sale in zucca di quel che
hai, figlio mio!” esclamò il maestro. “Quale altro nome gli avresti dato se
persino il grande Buridano, che sta per diventare rettore a Parigi, dovendo
parlare di un bel cavallo, non trovò nome più naturale?”
Così era il mio maestro. Non soltanto sapeva leggere nel
gran libro della natura, ma anche nel modo in cui i monaci leggevano i libri
della scrittura, e pensavano attraverso di quelli. Dote che, come vedremo, gli
doveva tornar assai utile nei giorni che sarebbero seguiti. La sua spiegazione
inoltre mi parve a quel punto tanto ovvia che l’umiliazione per non averla
trovata da solo fu sopraffatta dall’orgoglio di esserne ormai compartecipe e quasi
mi congratulai con me stesso per la mia acutezza.