Credo che il titolo vi
abbia spiazzato, la stessa cosa è successa a me, quando cercando notizie
relative ad un fiore strano mi sono ritrovata a leggere un brano del Manzoni,
tratto dalla sua grande opera “I Promessi Sposi”, e più precisamente dal XXXIII
capitolo, in cui lo scrittore
narra del ritorno di Renzo al suo paese, dopo i mesi terribili di Milano. Renzo
entra nel giardino della sua casa, devastato dall’incuria e dal passaggio dei Lanzichenecchi;
il brano è conosciuto come “La vigna di Renzo” e di solito non è contenuto
nelle antologie, perché giudicato dai critici come una digressione inutile e di
cattivo gusto! Invece leggere il brano fa capire che Don Lisander, come lo
chiamavano i suoi contemporanei, conosceva molto bene le specie vegetali
spontanee, anche le erbe infestanti!
Il mio stupore è stato
così forte che ho chiamato un’amica con elevate competenze letterarie per avere
conferma e la risposta è stata: “Sì, il Manzoni era un grande Botanico!”
Tra poco analizzeremo il
brano insieme, per coglierne la profondità, ma ora vediamo alcune notizie
biografiche di Manzoni.
Alla morte di Carlo Imbonati, secondo marito di Giulia Beccaria, madre
di Alessandro Manzoni, tutti i suoi averi passarono alla moglie, anche la Villa di Brusuglio, alle
porte di Milano, che fu ristrutturata ed ingrandita e che assunse così le forme
che tutt’oggi conserva, in stile francese; la villa era immersa in una grande
tenuta.
E proprio in quella tenuta, il Manzoni che era appassionato di botanica, aveva progettato un parco di 1500 piante, in prevalenza ad alto fusto. Ecco l’elenco proveniente da Casa Manzoni a Milano:
Fu il primo a coltivare in Lombardia piante di
agrumi, limoni in particolare, nonché ad importare dagli Stati Uniti le
robinie, piantate con il compito di impedire frane e proteggere le rive.
(Quanto mai lo ha fatto! Questa specie alloctona si è diffusa in tutto il Nord
Italia, con effetti devastanti sugli ecosistemi).
Il Manzoni inoltre aveva allestito un frutteto con centinaia
di alberi di mele, pere, albicocche, ciliegie e prugne.
Molto ben organizzato e ambizioso era anche il vigneto, dove
crescevano viti pregiate. Lo scrittore fu anche uno sperimentatore di
coltivazioni esotiche, come il cotone ed il caffè ma con scarsi risultati.
Nel vasto parco di Brusuglio, esisteva anche una risaia a fini
domestici: le piantine venivano acquistate dal Manzoni in persona a Pavia.
Ma il vero core business delle produzioni fu l’allevamento dei
bachi da seta, che seguiva con il figlio, il terzo avuto da Enrichetta Blondel,
Filippo. Per il nutrimento dei bachi aveva impiantato nella tenuta una grande
quantità di alberi di gelso, una specie bellissima, il mitico “murôn”, come lo
chiamavano i contadini lombardi in omaggio a Ludovico il Moro.
Nelle annate buone la rendita era notevole e consentiva anche
buoni accumuli di denaro, ricchezza che certo non gli dava la letteratura.
Ma c’è ancora una
curiosità sul nostro Don Lisander … aveva scritto un trattato di Botanica!
Saggio d'una nomenclatura botanica è il titolo attribuito dal Bassi e
ripreso dal primo editore, Ghisalberti, ai materiali che Manzoni scrisse per un
saggio rimasto incompiuto. Scopo dello scritto è proporre una riforma della
nomenclatura botanica che superi il binomio linneano fondato sulla sequenza
nome del genere e nome della specie!
Egli riteneva infatti che il sistema binomiale fosse sì comune agli
studiosi, ma non universalmente diffuso, e propose l'adozione di un singolo
nome proprio.
Ma come il Manzoni contesta il lavoro enorme fatto dal mitico Linneo?!!
Provate, come ho fatto io, a risalire dai nomi comuni che aveva utilizzato,
al nome scientifico, non è stata una passeggiata!
Ed ecco il testo dove ho sottolineato le specie che prenderò in considerazione:
La vigna di Renzo, agosto 1630 (attenti al mese e alla data)
E
andando, passò davanti alla sua vigna; e già dal di fuori poté subito
argomentare in che stato la fosse. Una vetticciola, una fronda d'albero di
quelli che ci aveva lasciati, non si vedeva passare il muro; se qualcosa si
vedeva, era tutta roba venuta in sua assenza. S'affacciò all'apertura (del
cancello non c'eran più neppure i gangheri); diede un'occhiata in giro: povera
vigna! Per due inverni di seguito, la gente del paese era andata a far legna -
nel luogo di quel poverino -, come dicevano. Viti, gelsi, frutti d'ogni sorte,
tutto era stato strappato alla peggio, o tagliato al piede. Si vedevano però ancora
i vestigi dell'antica coltura: giovani tralci, in righe spezzate, ma che pure
segnavano la traccia de' filari desolati; qua e là, rimessiticci o getti di
gelsi, di fichi, di peschi, di ciliegi, di susini; ma anche questo si vedeva
sparso, soffogato, in mezzo a una nuova, varia e fitta generazione, nata e
cresciuta senza l'aiuto della man dell'uomo. Era una marmaglia d'ortiche, di
felci, di logli, di gramigne, di farinelli, d'avene salvatiche,
d'amaranti verdi, di radicchielle, d'acetoselle, di panicastrelle
e d'altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d'ogni paese
ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di
simile. Era un guazzabuglio di steli, che facevano a soverchiarsi l'uno con
l'altro nell'aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi in
somma il posto per ogni verso; una confusione di foglie, di fiori, di frutti,
di cento colori, di cento forme, di cento grandezze: spighette, pannocchiette,
ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi, gialli, azzurri. Tra questa
marmaglia di piante ce n'era alcune di più rilevate e vistose, non però
migliori, almeno la più parte: l'uva turca, più alta di tutte,
co' suoi rami allargati, rosseggianti, co' suoi pomposi foglioni verdecupi,
alcuni già orlati di porpora, co' suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche
paonazze al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di fiorellini
biancastri; il tasso barbasso, con le sue gran foglie lanose a
terra, e lo stelo diritto all'aria, e le lunghe spighe sparse e come stellate
di vivi fiori gialli: cardi, ispidi ne' rami, nelle foglie, ne' calici, donde
uscivano ciuffetti di fiori bianchi o porporini, ovvero si staccavano, portati
via dal vento, pennacchioli argentei e leggieri. Qui una quantità di vilucchioni
arrampicati e avvoltati a' nuovi rampolli d'un gelso, gli avevan tutti
ricoperti delle lor foglie ciondoloni, e spenzolavano dalla cima di quelli le
lor campanelle candide e molli: là una zucca salvatica, co' suoi chicchi
vermigli, s'era avviticchiata ai nuovi tralci d'una vite; la quale, cercato
invano un più saldo sostegno, aveva attaccati a vicenda i suoi viticci a
quella; e, mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse, si
tiravan giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendon l'uno
con l'altro per appoggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta
all'altra, saliva, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondo gli riuscisse;
e, attraversato davanti al limitare stesso, pareva che fosse lì per contrastare
il passo, anche al padrone.
Iniziamo con l’acetosella o Oxalis acetosella è una specie di piccole dimensioni, con le foglie simili al trifoglio, ma molto graziosa che annuncia l’arrivo della primavera. Il nome comune della pianta (acetosella) deriva dal sapore acidulo e aspro delle foglie usate anticamente come condimento per le insalate e che ricorda appunto l'aceto. Vi confesso che io l’ho assaggiata, è buona.
E qui caro Manzoni hai toppato perché le acetoselle
ad agosto non ci sono!
La radicchiella o Crepis foetida, si tratta di una specie erbacea annuale, appartenente alla famiglia delle Asteracee,
con brutti fiori gialli che emana un cattivo odore, caratteristica già implicita
nel nome, Linneo la chiamò fetida!
La panicastrella o Echinochloa
crus-galli è una Graminacea che può arrivare fino al metro e mezzo di altezza, con
il culmo robusto
liscio, piegato a ginocchio vicino alla base, poi eretto. Diciamocelo
questa è proprio una brutta pianta infestante.
Ed ora arriviamo al top delle erbacce … la
zizzania!
Sto parlando del loglio, Lolium temulentum, più conosciuto come zizzania.
La pericolosità di questa pianta infestante è
ben nota fin dai tempi antichi, soprattutto per l'alto potere intossicante.
Infatti, il termine temulentum (ubriacante) è riferito agli
effetti derivanti dall'ingestione di farine contaminate da funghi, ma di quale fungo
si tratta?
Molti casi di psicosi collettiva, con allucinazioni e successiva visione di streghe e demoni, seguiti da processi inquisitori e sentenze di morte, sono stati causati da ingestione di farine contenente il Claviceps! Ricordate le Streghe di Salem? Ci sono anche casi italiani sia chiaro!
Inoltre il loglio è protagonista della “Parabola
del grano e la zizzania”, nel vangelo secondo Matteo (capitolo 13 versetti
da 24 a 30), a cui vi rimando.
Da questa parabola deriva il noto modo di dire
"Seminare zizzania", cioè disseminare di elementi conflittuali
e critici un determinato scenario relazionale rimanendo nell'ombra.
Da essa deriva anche il detto "Separare
il grano dal loglio", ossia separare le parti di qualità da quelle
dannose tra esse nascoste. Dante cita la malapianta almeno in due
occasioni: Purgatorio
II, 124 e Paradiso
XII, 119. L'influenza della parabola nella storia della
cultura letteraria e popolare è complessivamente enorme.
Il binomio linneiano
Phytolacca americana ci dice già molto, si tratta di una pianta
nativa del Nord America; tutte le parti della pianta risultano tossiche per
l'uomo e gli animali domestici.
In Italia è stata
coltivata a partire dal 1642 in Veneto, presso l’Orto Botanico di Padova, è
segnalata come spontaneizzata in Piemonte solo alla fine del XVIII secolo.
E qui caro Don Lisander ti ho ribeccato! Come poteva trovarsi nella vigna di Renzo, nel 1630, l’uva turca che arrivò in Italia dopo quella data?
Ma ti perdoniamo perché una descrizione così bella
non l’avevo mai letta … più alta di
tutte, co' suoi rami allargati, rosseggianti, co' suoi pomposi foglioni
verdecupi, alcuni già orlati di porpora, co' suoi grappoli ripiegati, guarniti
di bacche paonazze al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di
fiorellini biancastri.
Ed eccoci arrivati al tasso barbasso o Verbascum thapsus , che, nonostante il nome non è affatto un animale, ma una splendida specie biennale di grandi dimensioni, che presenta grandi foglie lanose a terra, e diverse lunghe spighe ricoperte di vivaci fiori gialli, alcune volte assume anche forme a candelabro!
Il Caravaggio amava
molto questa pianta, la troviamo ad esempio ai piedi di “San Giovanni Battista”
o della Vergine nel “Riposo durante la fuga in Egitto” e comunque questa pianta
aveva un valore simbolico estremamente importante di redenzione e
rinascita.
Termino questa carrellata con il vilucchione
o Convolvulus sepium
È una pianta erbacea perenne rampicante, ha foglie di grandi dimensioni e bellissimi fiori bianchi, la cui corolla, imbutiforme, è lunga fino a 6 cm.
Concludo dicendo che queste mie scoperte mi hanno fatto molto piacere, perché io sono stata una studentessa a cui “I Promessi Sposi” piacevano molto … in buona sostanza faccio parte di quel 2%. Ma devo confessarvi una cosa ... da quando ho scritto questo articolo per Pikaia, mi sono messa ad approfondire la Biografia del Manzoni, ed ho conosciuto un grande uomo, che nessuno dei miei docenti di Lettere al Liceo, mi aveva presentato! Spero proprio che ora le cose vadano diversamente!